L’Italia alle prese con la global minimum tax

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Il 1° gennaio 2024 è entrata in vigore in Italia l’imposta minima nazionale (art. 18 DL 209/2023 -attuativo della delega di riforma fiscale), in recepimento della Direttiva 2523/2022.

Tale imposta è strettamente connessa alla cd. Global minimum tax, ovvero un sistema integrato e coordinato di cd. GloBE rules aventi come fine ultimo il contrasto dell’erosione -a livello globale- della base imponibile delle imposte societarie, dovuta alla digitalizzazione e globalizzazione dell’economia.

Un passo indietro: le GLOBE RULES

In linea generale, 139 Paesi -membri dell’OCSE e del G20- hanno convenuto per la necessità di approvare una riforma fiscale globale basata su due pilastri:

  1. un nuovo sistema di imposizione applicabile alle imprese multinazionali -di maggior dimensione- nelle giurisdizioni in cui sono prodotti gli utili; e
  2. l’imposizione minima effettiva (o Global minimum tax) pari ad almeno il 15 per cento per i grandi gruppi multinazionali.

 

Focus: il PILLAR II

La Global minimum tax si basa su tre strutture che si compensano e si sovrappongono:

  • l’imposta minima domestica (Qualified domestic minimum top-up tax rule), che si liquida in via prioritaria, prevedendo che l’imposizione integrativa sia riscossa nel Paese in cui si è verificato un basso livello d’imposizione;
  • l’imposta minima integrativa (Income inclusion rule), che è allocata alla capogruppo o ad entità partecipanti di livello inferiore, seguendo un approccio cosiddetto top-down;
  • l’imposta minima suppletiva (Undertaxed Profits rule) che svolge una funzione di garanzia del sistema, applicandosi quando non è prelevata l’imposta minima integrativa.

 

L’imposta minima domestica italiana

L’imposta minima nazionale, in vigore in Italia dal 1° gennaio 2024, positivizza il secondo pilastro della riforma fiscale mondiale, individuando nel proprio ambito soggettivo i gruppi multinazionali e nazionali con ricavi annui -risultanti dal bilancio consolidato- pari o superiori a 750 milioni di euro in almeno due dei quattro esercizi precedenti.

Nel dettaglio, l’imposta è dovuta ove l’aliquota di imposizione effettiva (calcolata rapportando le imposte correnti rilevanti al reddito netto qualificante) delle imprese localizzate in Italia appartenenti a un gruppo multinazionale o nazionale risulti inferiore all’aliquota minima, stabilita nel 15%.

 

Il calcolo

Il puntuale calcolo impositivo richiede un’elevata dimestichezza nella terminologia adottata dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), posto che la disciplina italiana richiama puntualmente i termini ed i concetti da quest’ultimo sviluppati.

Infatti, al fine di determinare la base imponibile dell’imposta, è necessario diminuire il reddito totale -prodotto in Italia- di un importo pari alla somma delle riduzioni forfettarie (nella misura del 5%) di spese salariali ed immobilizzazioni materiali, entrambe calcolate in relazione a ciascuna impresa localizzata nel Paese (la cd. attività economica sostanziale o SBIE).

Semplificando, se il reddito prodotto in una determinata giurisdizione ammontasse a 100 e fosse assoggettato ad imposizione con un livello di imposizione effettiva del 10%, e se la SBIE risultasse pari a 25:

  • l’aliquota dell’imposta integrativa sarebbe pari al 5% (ciò che servirebbe a raggiungere un’imposizione effettiva del 15%);
  • l’excess profit, ovvero il reddito rilevante ridotto della SBIE, sarebbe pari a 75 (100 – 25);
  • l’imposta minima nazionale ammonterebbe a 3,75 (ovvero 75 x 5%).

In aggiunta, per completezza, si evidenzia la presenza di regole peculiari, simili a quelle che si rilevano nella disciplina del consolidato fiscale nazionale, ovvero:

  • il regime di responsabilità solidale tra le imprese del gruppo per il versamento di tale imposta; e
  • la previsione per cui le somme versate o percepite da parte delle imprese del gruppo a fronte del riaddebito dell’imposta minima nazionale non concorrono alla formazione del reddito.

 

Uno sguardo all’estero

Se l’Italia, al pari della maggior parte dei Paesi europei, ha già introdotto la disciplina in esame, le due principali economie del mondo, la Cina e gli Stati Uniti, non implementeranno il Pillar 2 nel 2024.

In particolare, infatti, si evidenzia che gli Stati Uniti si sono opposti all’introduzione, ritenendo che le nuove norme avrebbero effetti negativi sulla competitività delle imprese nazionali, in quanto un meccanismo analogo è già previsto dalla normativa statunitense (il cd. Gilti), il quale prevede una imposta domestica del 15%.

 

Fidinam può aiutarti

Questo articolo è a cura di Lorenzo Portolano e Iacopo Carraro del team di consulenza fiscale di Fidinam Italia.

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