Pex estesa anche alle società non residenti

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Lorenzo Portolano, Alessandro Pace

 

Il contesto

Il regime della cd. «participation exemption» (o «pex») consente, a determinate condizioni, di ridurre il fenomeno della doppia imposizione sui redditi delle società di capitali riconoscendo un’esenzione sulle plusvalenze da realizzo di partecipazioni in società ed enti commerciali, residenti e non residenti. 

Sul punto, la plusvalenza realizzata è esentata nella misura del 95%, in luogo di un’imposizione effettiva dell’1,2%, determinata dall’applicazione dell’aliquota Ires ordinaria (24%) applicata alla quota imponibile della plusvalenza (5%).

Ebbene, sulla base della normativa domestica, tale regime trova applicazione alle sole società ed enti commerciali residenti, oppure alle stabili organizzazioni di soggetti non residenti, la cui partecipazione ceduta sia pertinente e il cui reddito sia d’impresa a prescindere dalla fonte dei singoli elementi che lo compongono. 

Al contrario, per quanto concerne i soggetti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia, trova applicazione la disciplina della tassazione “ordinaria”: le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di azioni o quote di società italiane costituiscono un reddito diverso e, laddove la Convenzione contro le doppie imposizioni applicabile attribuisca potestà impositiva (anche) all’Italia, sono soggette a imposizione sostitutiva del 26%.

Pertanto, alla luce del quadro normativo delineato, quando la plusvalenza è imponibile in Italia, si crea una disuguaglianza di trattamento tra le società straniere e quelle residenti nel nostro Paese. 

L'intervento della Cassazione

Dirimente risulta essere l’intervento della Cassazione che, nella sentenza n. 21261 del 19 luglio 2023, stabilisce - per la prima volta - l’applicabilità del regime di esenzione anche alle plusvalenze realizzate dalle società comunitarie non residenti e prive di stabile organizzazione in Italia.

Ciò in ragione del contrasto con i principi fondamentali dell’Unione Europea relativi alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei capitali, come sanciti negli artt. 49 e 63 del TFUE, i quali rilevano anche nell’ambito tributario. 

Il diritto riconosciuto dalla Cassazione

La Corte di Cassazione riconosce inoltre il diritto al rimborso del contribuente, stabilendo il principio di diritto in base al quale la mancata applicazione del regime PEX alle società non residenti costituisce una “restrizione ingiustificata” alle citate libertà fondamentali comunitarie.

Difatti, non di recente, la Corte di Giustizia dell’Unione europea nella causa C-540/07, aveva spinto l’Italia a rivedere la disciplina nazionale al fine di scongiurare qualsiasi trattamento discriminatorio, nel caso di specie, relativo all’applicazione della ritenuta alla fonte sui dividendi in uscita, estendendola ai soggetti comunitari non residenti

Secondo la Suprema Corte la medesima ratio troverebbe applicazione al regime pex, poiché entrambe mirano a evitare la doppia imposizione, la quale richiederebbe che le società - residenti o non residenti -vengano sottoposte ad imposizione equivalente.

 

I possibili sviluppi

La decisione della Suprema Corte rappresenta una svolta in materia ed è destinata a generare importanti conseguenze.

Sebbene la sentenza in commento analizzi direttamente solo i casi comunitari, l’intervento normativo potrebbe garantire l’applicabilità della PEX non solo per le società residenti in Stati europei, ma anche per quelle residenti in Stati extra - UE.

A tale conclusione potrebbe giungersi in considerazione dell'importanza riconosciuta dalla Cassazione sia alle norme sulla libertà di stabilimento che a quelle sulla libera circolazione dei capitali.

Infatti, l’ambito applicativo dell’intervento della Suprema Corte, potrebbe essere più esteso di quanto si possa pensare. Limitare l’efficacia dei principi espressi dalla Cassazione alle sole fattispecie comunitarie, d’altronde ridimensionerebbe l’importanza dell’intervento dei giudici e, di fatto, consentirebbe l’applicazione del principio giuridico sviluppato alle sole plusvalenze di fonte italiana realizzate da società francesi, posto che, tra tutte le Convenzioni stipulate dall’Italia con gli altri Stati membri, solamente quella con la Francia riconosce all’Italia potestà impositiva concorrente sui capital gain da partecipazioni. 

Al contrario, l’estensione alle società residenti in Stati non comunitari ne amplia il campo di applicazione: di fatti, le Convenzioni contro le doppie imposizioni in vigore con Stati non comunitari che accordano anche all’Italia (sulla falsa riga del modello francese) la potestà impositiva sulle plusvalenze da cessione di partecipazioni sono numerose (i.e. Brasile, Cina, Cipro, Corea del Sud, Egitto, India, Israele, Lituania, Pakistan, Turchia e Vietnam).

 

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