Il trust, istituto di diritto anglosassone e recepito in Italia, è oggi una delle soluzioni più apprezzate per chi desidera proteggere, gestire e trasmettere il proprio patrimonio in modo fiscalmente efficiente e flessibile.
È uno strumento capace di adattarsi a molteplici finalità - dalla tutela del patrimonio familiare alla successione generazionale. Tuttavia, come ogni strumento giuridico complesso, il trust opera in modo efficace solo se istituito correttamente.
Dal punto di vista del regime fiscale applicabile, si distinguono due livelli impositivi in relazione alla natura del trust.
La principale minaccia alla validità fiscale del trust è la mancanza di autonomia effettiva del Trustee.
Un trust potrebbe essere considerato interposto - e quindi fiscalmente inesistente - quando il Disponente o i Beneficiari mantengono poteri tali da condizionare o controllare la gestione dei beni.
Potenziali indizi di interposizione si incardinano quando:
In tali ipotesi, il trust ben potrebbe essere riqualificato da parte dell’Amministrazione finanziaria come inesistente, con la conseguenza che l’effetto segregativo svanisce.
Due recenti casi hanno chiarito come l’Agenzia delle Entrate interpreta, ad oggi, il confine tra un trust validamente istituito ed un trust interposto.
Nel caso oggetto della risposta n. 267/2023, il Disponente aveva istituito un trust residente in Italia trasferendo una partecipazione di controllo in una holding familiare. Una prima versione dell’atto era stata considerata inesistente, perché il Disponente manteneva poteri di nomina degli amministratori e influenza indiretta sul Trustee tramite il Guardiano.
Solo dopo la modifica delle clausole - eliminando la possibilità di revocare o nominare liberamente il Guardiano, di modificare i Beneficiari e di dare istruzioni vincolanti - l’Agenzia ha riconosciuto la piena autonomia del Trustee e la validità del trust come soggetto passivo IRES.
Diverso l’esito per i trust esaminati nella risposta n. 258/2024, istituiti negli Stati Uniti a favore di una Beneficiaria residente in Italia.
L’Agenzia delle Entrate ha qualificato due trust come interposti, poiché le clausole prevedevano la possibilità per la Beneficiaria di revocare e sostituire il Trustee o di autorizzare atti rilevanti (come vendite o locazioni).
In sostanza, la Beneficiaria manteneva un certo controllo sulla gestione, sufficiente - secondo l’Amministrazione finanziaria - a configurare un’ingerenza tale da rendere il trust fiscalmente inesistente.
Posto ciò, la prassi più recente confermerebbe che la fragilità di molti trust nasce dalla superficialità nella redazione dell’atto istitutivo.
Eppure, è proprio nella formulazione dell’atto istitutivo che si determina la differenza tra un trust fiscalmente riconosciuto e un trust suscettibile di riqualificazione da parte dell’Agenzia delle Entrate per carenza di autonomia sostanziale rispetto al Disponente.
Un trust fiscalmente esistente non è quello giuridicamente più complesso, ma quello istituito da un apposito atto che:
Il trust rappresenta oggi in Italia uno strumento sofisticato: può offrire un’elevata tutela patrimoniale, ma solo se istituito con rigore giuridico e coerenza sostanziale.
Per questo, una preventiva consulenza di professionisti esperti rappresenta una condizione imprescindibile per assicurare la piena validità dello strumento e la protezione dei beni, evitando potenziali contestazioni da parte dell’Autorità fiscale.
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